Memoriale tra arte, antropologia e pedagogia


Nel laboratorio del segno: dieci anni tra gli studenti, alla ricerca delle radici. Dal seme al pane: la memoria.

Per circa un decennio ho avuto il privilegio di condurre il modulo di Disegno all’interno del corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università della Calabria. Non mi sono mai sentito un docente nel senso tradizionale del termine, ma piuttosto un allievo tra gli allievi, un compagno di viaggio che ha condiviso con loro il cammino della ricerca, dell’ascolto e della trasformazione.

Il disegno, in quel contesto, non era tecnica né accademia. Era strumento di indagine, di testimonianza, di restituzione poetica. L’approccio che ho cercato di coltivare partiva dalla grafia creativa come linguaggio sociale, come traccia viva di un sapere sedimentato nei secoli. Non si trattava di insegnare a disegnare, ma di stimolare gli studenti a interrogarsi sul senso del segno, sulla sua origine antropologica, sulla sua capacità di comunicare al di là della voce, oltre il linguaggio parlato.

Ricordo con particolare emozione l’esperimento sul pane. Un alimento quotidiano, apparentemente semplice, ma carico di stratificazioni culturali e rituali. Proposi agli studenti di partire dal seme, di risalire alle pratiche dimenticate, alle tecniche locali, alle nenie cantate mentre si impastava. E loro, con entusiasmo, si misero a cercare nei propri paesi, intervistando anziani, raccogliendo storie, disegnando gesti. Ne nacquero dispense minute ma dense, che ancora oggi conservo nella libreria del mio studio, sommersi da altri lavori, ma vivi come allora.

Altri progetti hanno seguito lo stesso spirito: la pesca del pescespada a Bagnara Calabra, le feste di paese, gli antichi mestieri. Il disegno diventava ponte tra generazioni, strumento di valorizzazione del territorio, eco delle prime scritture rupestri, graffiti che raccontano modelli di vita primitiva. Era una pedagogia del segno che non cercava la perfezione formale, ma la verità del gesto, la dignità della memoria.

In quegli anni ho visto molti studenti prendere il volo. Alcuni li ho rivisti, altri li ho persi di vista, ma tutti mi hanno lasciato qualcosa. Ho accolto i loro suggerimenti, ho imparato dai loro sguardi, ho rimpinguato il mio bagaglio culturale ed esperienziale, che non è mai colmo, ma sempre aperto, disponibile, in attesa di nuove semine.

Questo memoriale non è un bilancio, ma una testimonianza. Di un tempo lento, condiviso, fertile. Di un insegnamento che è stato soprattutto apprendimento. Di un disegno che ha saputo farsi voce, rito, comunità.


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