Dentro l'opera, il respiro

 



Due opere del 1980 e la transizione tra forma e spirito

Introduzione.
Nel 1980, in un momento di silenziosa trasformazione, ho realizzato due tele che segnano l’inizio di una nuova fase della mia ricerca. Non si tratta solo di pittura, ma di ascolto. Di una tensione che si insinua tra la forma e ciò che la forma non può dire. Queste opere sono soglie: tra il visibile e l’invisibile, tra la materia e il respiro. Le presento oggi come testimonianza di quel passaggio, che ha poi condotto alla polimaterica e oltre.


Tra forma e spirito: la soglia della ricerca

Nel cammino dell’arte, ci sono momenti in cui la forma non basta più. Non perché sia esaurita, ma perché ha detto tutto ciò che poteva dire nel linguaggio del visibile. È allora che l’artista si trova davanti a una soglia: quella che separa il tangibile dall’invisibile, la materia dal respiro, il gesto dalla rivelazione.

Nel 1980, questa soglia ha cominciato a delinearsi nel mio lavoro. Le due tele di quell’anno – Volto nell’etere e Occhi chiusi, fiore rosso – sono testimonianza di un passaggio.


Volto nell’etere

Un volto umano emerge da uno sfondo nebuloso, quasi liquido, dove i confini tra carne e colore si dissolvono. L’occhio visibile non guarda, ma suggerisce. Il volto non è più ritratto, ma presenza. Il colore non descrive, ma evoca. È il momento in cui la forma si fa porosa, e lo spirito comincia a filtrare.

Occhi chiusi, fiore rosso

Un volto in ombra, con gli occhi chiusi, circondato da forme organiche e petali. Al centro, un punto rosso: un naso di clown? un fiore, o forse una ferita? catalizza l’attenzione. Qui il silenzio è protagonista. La pittura non grida, ma medita. Il dolore e la bellezza si sfiorano, come in una preghiera muta.

Questa transizione non è una fuga dalla tecnica, ma un suo superamento. È il riconoscimento che la materia può essere memoria, ma anche sogno. Che il segno può essere testimonianza, ma anche invocazione. Che l’opera non è solo oggetto, ma soglia: tra ciò che è stato e ciò che ancora non è.

La ricerca tra forma e spirito non è lineare. È fatta di esitazioni, di ritorni, di frammenti. È una danza tra il visibile e l’invisibile, dove ogni passo è anche una domanda. In quegli anni, ho cominciato a interrogare la superficie: non più come spazio da riempire, ma come pelle da ascoltare. Le crepe, le dissolvenze, le ombre – tutto diventava linguaggio.

Questa tensione ha poi trovato corpo nella polimaterica, dove la materia stessa diventa protagonista. 

 E già nel 1980, il desiderio di oltrepassare la forma era presente. Non per negarla, ma per attraversarla. Per cercare, dentro il volto, il respiro. Dentro il colore, il silenzio. Dentro l’opera, la voce che non si vede.


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