Memoir

 

Memoir pensato per il blog, che intreccia l'opera "Lumachella" con la riflessione sulla memoria, la ricerca e il senso profondo del fare artistico. 


Lumachella: Traccia di una memoria viva



Assemblaggio polimaterico, 2005

Nel 2005, in un momento di silenzio e sedimentazione, nacque "Lumachella". Un’opera che non voleva stupire, ma testimoniare. Il suo corpo spiraliforme, rosso e rosato, si avvolge come una memoria che non si lascia dimenticare. La materia si contamina, si stratifica, si sporca di segni e di tempo. È un gesto lento, come quello della lumaca che attraversa il mondo lasciando una traccia visibile, fragile, ma persistente.

Questo lavoro non è stato pensato per durare, ma per documentare. Non per lasciare tracce effimere, ma per raccontare il cammino di una ricerca iniziata negli anni ’70, portata avanti con passione, ostinazione e apertura. Lumachella è una sintesi visiva di quel percorso: un memoir artistico che non cerca il consenso, ma la comprensione.

La memoria, qui, non è celebrazione. È resistenza. È il bisogno di dire: “Ecco, questo è ciò che ho cercato. Questo è ciò che ho amato.”
È una memoria fine a se stessa, destinata a chi vuole davvero conoscere il mio animo.
Non c’è retorica, non c’è nostalgia. Solo materia, segno, e tempo.


Segni che parlano: l’urgenza dell’esplorazione visiva nella ricerca personale

Viviamo in un tempo saturo di immagini, ma povero di sguardi. La società contemporanea ci catapulta in un flusso incessante di segni, simboli, codici visivi che spesso scorrono senza lasciare traccia. Eppure, proprio in questo rumore visivo, si annida la necessità di una ricerca più intima, più consapevole: quella che passa attraverso l’esplorazione segnica e il linguaggio visivo come forma di conoscenza profonda.

Il segno come traccia dell’anima

Ogni segno è una soglia. Non è solo forma, ma memoria, gesto, intenzione. Nell’arte polimaterica, nella contaminazione tra tecniche e linguaggi, il segno diventa testimonianza: di un pensiero, di un’emozione, di un passaggio. Esplorare il segno significa interrogare il proprio vissuto, dare corpo all’invisibile, trasformare l’esperienza in traccia.

Per chi, come me, ha attraversato decenni di ricerca visiva, il segno non è mai stato decorazione. È stato sempre necessità. Una forma di resistenza contro l’oblio, contro la superficialità del consumo estetico. È stato il modo più autentico per dire: “Io sono qui. Questo è il mio cammino.”

Conoscenza visiva: un sapere incarnato

Il linguaggio visivo non si limita a rappresentare: esso costruisce mondi. È un sapere incarnato, che coinvolge il corpo, la materia, il tempo. Nell’assemblaggio, nel collage, nella stratificazione di materiali e memorie, si genera una conoscenza che non può essere tradotta in parole, ma che parla direttamente all’intuizione.

In un’epoca dominata dalla velocità e dalla semplificazione, il linguaggio visivo ci invita alla lentezza, alla complessità, alla contemplazione. Ci chiede di fermarci, di osservare, di ascoltare ciò che non è detto. È un atto politico, oltre che poetico: un modo per riappropriarci del nostro sguardo, per sottrarci alla dittatura dell’evidente.

La ricerca personale nel contesto sociale

Esplorare il segno non è un gesto solitario. È un atto che si iscrive nel tessuto della società, che dialoga con le sue ferite, le sue contraddizioni, le sue utopie. La ricerca personale, quando è autentica, diventa testimonianza collettiva. Ogni opera è un frammento di memoria condivisa, un punto di contatto tra l’intimo e il pubblico.

Nel mio percorso, ho sempre cercato di trasformare l’assenza in presenza, la rabbia in forma, il dolore in bellezza. Il linguaggio visivo mi ha permesso di farlo senza tradire la complessità dell’esperienza. E oggi, più che mai, sento il bisogno di continuare a esplorare, a contaminare, a lasciare tracce.

Conclusione: il segno come eredità

Esplorare il linguaggio visivo è un atto di cura. È il modo in cui possiamo lasciare un’eredità che non sia solo materiale, ma spirituale, poetica, umana. In ogni segno che traccio, cerco di depositare un frammento di verità, una scintilla di memoria, un invito alla conoscenza.

Per chi vorrà davvero conoscere il mio animo, non serviranno parole. Basterà osservare i segni.


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