Archiviare il vissuto: la tombatura visiva come gesto civile
Tombatura visiva: estetica della conservazione e politica della materia
Abstract
Il presente saggio propone una riflessione teorica e curatoriale sul concetto di tombatura visiva, inteso come pratica artistica che espone, conserva e stratifica materiali poveri e frammenti del quotidiano, senza ricorrere a retoriche celebrative o occultanti. A partire da opere polimateriche che rifiutano l’impacchettamento estetico e la sublimazione formale, si analizza la tombatura come gesto civile, memoriale laico e dispositivo di resistenza alla logica del consumo e dell’oblio.
1. Introduzione: oltre l’impacchettamento
Nel panorama dell’arte contemporanea, l’uso della materia come veicolo di significato ha assunto forme molteplici: dalla sublimazione pittorica alla provocazione concettuale, dalla monumentalità installativa alla fragilità performativa. In questo contesto, il concetto di tombatura visiva si colloca come gesto radicale e anti-retorico: non impacchetta, non nasconde, non monumentalizza. Espone ciò che resta, stratifica ciò che è stato, conserva ciò che rischia di essere dimenticato.
A differenza dell’impacchettamento à la Christo, dove l’occultamento genera tensione estetica e rivelazione simbolica, la tombatura visiva non promette svelamenti. È esposizione senza spettacolo, conservazione senza celebrazione.
2. La materia come documento
La tombatura visiva si fonda su una concezione documentaria della materia. Carta strappata, tessuti, pigmenti grezzi, reti, residui industriali o domestici: ogni elemento è un reperto, un frammento di vissuto che viene conservato non per la sua bellezza, ma per la sua capacità di testimoniare. L’opera non cerca armonia compositiva, ma persistenza etica. La materia non è decorazione, ma testimone silenziosa.
Questa pratica si avvicina all’archeologia visiva, ma rifiuta la neutralità scientifica. È archeologia affettiva, civile, militante. Ogni strato è una voce, ogni lacerazione è una memoria.
3. Conservazione per i posteri: il memoriale laico
La tombatura visiva assume la forma di un memoriale laico. Non c’è retorica del monumento, né idealizzazione del passato. C’è solo persistenza del vissuto, resistenza all’oblio, cura del futuro. L’opera non si propone come oggetto da contemplare, ma come archivio da interrogare. È un gesto che affida alla materia il compito di parlare al tempo, senza mediazioni.
In questo senso, la tombatura visiva è anche un atto pedagogico: insegna a guardare ciò che resta, a leggere ciò che è stato, a immaginare ciò che verrà. È una forma di educazione alla memoria, che si oppone alla cultura dell’effimero e del consumo.
4. Politica della visibilità e resistenza estetica
La tombatura visiva è una pratica politica. Espone ciò che il sistema tende a nascondere: il lavoro, la fatica, la marginalità, la fragilità. Rifiuta la logica del mercato, la seduzione del decoro, la spettacolarizzazione del dolore. È una forma di resistenza estetica, che si oppone alla retorica della bellezza e alla dittatura dell’immagine.
In questo senso, la tombatura è anche una forma di lotta: contro l’oblio, contro la superficialità, contro l’omologazione. È un gesto che rivendica il diritto alla memoria, alla complessità, alla testimonianza.
5. Conclusioni: verso una curatela della coscienza
La tombatura visiva non è una tecnica, ma un atteggiamento. Non è una forma, ma una posizione etica. È una pratica che invita a curare la coscienza, a conservare il vissuto, a esporre la verità. In un tempo che tende a rimuovere, a semplificare, a spettacolarizzare, la tombatura visiva propone una estetica della responsabilità.
Per l'artista, curatore, essa rappresenta una sfida: come esporre senza celebrare? Come conservare senza musealizzare? Come rendere visibile ciò che è fragile, senza tradirne la natura? La risposta non è nella forma, ma nella intenzione. La tombatura visiva è, in ultima analisi, un atto di cura verso chi verrà dopo di noi.