Continua e fottitene

Un pezzo di vita che attraversa tempo, memoria e traccia l'essenza dell'essere:


Angelino, la tela e la deriva

Ci sono odori che non si dimenticano. Non parlo di profumi sofisticati, ma di quelli che si annidano nella memoria come vecchi amici: l’odore di trementina, di colori ad olio, di uno straccio imbevuto che scivola sulla tela. Basta poco — una sfumatura, una canzone, un gesto — e mi ritrovo là, in un tempo che non esiste più, circondato da volti che non sono più in carne e ossa, ma che continuano a vivere accanto a me, come presenze discrete e affettuose.

Uno di questi volti è quello di Angelino. Lo conobbi nel 1975, grazie a Pino Pingitore, in occasione della mia prima mostra cittadina. “È un tipo sui generis,” mi disse Pino, mentre Angelino varcava la soglia della galleria con quell’aria da uomo che ha vissuto molto e detto poco. Ci prendemmo subito in simpatia, come accade tra spiriti affini. In seguito lo invitai a casa mia a pranzo. Mi dispiaceva saperlo solo. Non aveva famiglia, e solitamente consumava i pasti alla trattoria Da Rosario, in piazza Mercato, proprio di fronte all’attuale teatro Politeama. Ci ho pranzato anch’io, qualche volta. Era un luogo sincero, dove il tempo sembrava rallentare. Poi, come spesso accade, il figlio del titolare decise di vendere. Non gli piaceva fare il ristoratore. Non si sentiva gratificato da quella vita. E così, anche Da Rosario divenne un ricordo.

Angelino, invece, è tutt’altro che un ricordo. Era cultura viva, pulsante. Un uomo che portava con sé il fermento di Parigi, gli anni vissuti accanto a Mimmo Rotella, le notti con Pierre Restany, le donne belle come quadri, e quell’incidente che lo costrinse a tornare a Catanzaro. Mi raccontò tutto, con generosità e ironia. Era un uomo che sapeva ascoltare, ma anche spronare. Mi diceva spesso: “Non avere paura. Osa davanti all’ignoto della tela.” E un giorno, questa scena non la dimenticherò mai, si avvicinò a un quadro che avevo lasciato sul cavalletto, lo osservò in silenzio, poi — zack! — con l’unghia lunga e robusta del pollice tracciò delle linee di forza. “Ecco!” disse. “Questo devi fare! Continua, non interrompere…”

Quel gesto fu per me una rivelazione. Non era solo un segno sulla tela, era un passaggio di energia, un incoraggiamento che veniva da lontano. Angelino non era un semplice amico: era un complice, un maestro silenzioso, un uomo che sapeva vedere oltre.

E poi c’erano le sue parole, quelle che non si dimenticano. 

Un giorno, mentre parlavamo di certi ambienti chiusi, di certi giudizi affrettati e atteggiamenti ostici da parte di certa presunta intellighenzia, mi disse: “Non ti vogliono, ma tu fottitene! Non capiscono un cazzo di arte. E tu sei un vero artista. Il tempo ti darà ragione. Continua e fottitene. Quà sono tutti rosi dall’ignoranza e dall’invidia. E non parlo solo dei pittori… chissi su’ mbratta tili chi non sannu nenta e chi vordira arte, cultura… lassali fhutthara mandali a ffanculu! Puru e Rotella ebbaru a chi dira...

Era il suo modo di proteggermi, di spronarmi, di farmi capire che l’arte non si piega al consenso, né si misura con gli applausi. Quelle parole mi hanno accompagnato nei momenti di dubbio, quando il silenzio attorno ai miei lavori sembrava un giudizio. “Il tempo ti darà ragione,” diceva. E io, a distanza di anni, posso dire che aveva ragione. Non perché sia arrivato il riconoscimento, ma perché ho continuato. Ho osato. Non mi sono fermato.

Così è stato anche per via della mia indole ribelle, che non si accontenta, che cerca risposte alle sfide della vita e propone soluzioni — o almeno ipotesi — alla deriva sociale cui sembriamo essere votati. Ancora oggi, per molti, la società è divisa e divisibile ancora di più. Da una parte i “buoni”, quelli che stanno bene, che hanno avuto fortuna e successi, che hanno saputo cavalcare gli eventi e l’onda, producendo ciò che il mercato e la gente chiede e vuole, perché non intende porsi problemi. Dall’altra parte, chi come me crede che la cultura sia ben altra cosa. E che la ricerca artistica sia la risposta.

Non una risposta comoda, né immediata. Ma una risposta che scava, che interroga, che non si piega. Una risposta che Angelino avrebbe approvato, con quella sua voce stridula a tratti roca e sincera, con quella sua unghia che tracciava linee di forza. Una risposta che continua, e non si interrompe.


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