Resti

Questa opera è un esempio potente di arte contemporanea che fonde elementi di “assemblage”, “arte povera” e “commentario sociale”. Ecco una recensione dettagliata:


Materiali e tecnica:

- Supporto: Cartone da imballaggio, con il logo Amazon visibile, suggerisce una riflessione sulla logistica globale e il consumismo.

- Elementi applicati: Frammenti di pubblicità, packaging di prodotti (Kinder, Black Friday), una fotografia e altri ritagli cartacei.

- Texture: L’uso di cemento o gesso grezzo, insieme a una rete da costruzione, crea una superficie stratificata e ruvida, evocando degrado urbano o memoria sedimentata.

Temi e significati

- Consumismo e cultura pop: Le citazioni a “Black Friday”, “Stranger Things” e prodotti commerciali come Kinder suggeriscono una critica alla sovrabbondanza mediatica e alla mercificazione dell’esperienza quotidiana.

- Memoria e stratificazione: L’inclusione di una fotografia personale e materiali eterogenei richiama il collage della memoria, dove frammenti di vita si mescolano a stimoli esterni.

- Decadenza urbana: Il cemento e la rete rimandano a cantieri, rovine, e trasformazioni architettoniche, come se l’opera fosse un reperto archeologico del presente.

Estetica e impatto visivo

- Il contrasto tra la superficie grezza e gli elementi grafici colorati crea una tensione visiva che cattura l’attenzione.

- L’opera non cerca la bellezza convenzionale, ma punta a provocare, interrogare, e far riflettere.

Contesto artistico

La composizione si inserisce nel solco di artisti come Rauschenberg, Burri, o Dadaisti come Schwitters, che hanno usato materiali di scarto per rompere con l’arte tradizionale. È anche vicina alla sensibilità dell’arte relazionale, dove l’opera è un punto di partenza per il dialogo.

Sapere che si tratta di un lavoro di ricerca sui linguaggi metropolitani condotto da Mario Iannino aggiunge profondità alla lettura dell’opera. Ecco una recensione aggiornata e contestualizzata:

Linguaggi metropolitani come materia viva

L’opera si presenta come una mappa visiva del paesaggio urbano contemporaneo, dove i linguaggi della città — pubblicità, marchi, slogan, frammenti visivi — vengono raccolti, stratificati e reinterpretati. Mario Iannino non si limita a rappresentare la città: la trasforma in linguaggio, ne cattura il rumore visivo e lo sedimenta in forma artistica.

Approccio di ricerca: Metodo etnografico-visivo: L’uso di materiali trovati e di scarto richiama una pratica quasi antropologica, dove ogni frammento è un indizio della vita urbana.

- Analisi semiotica: Le parole come “Black Friday”, “Stranger Things”, “Semplice” non sono scelte a caso: sono segni che raccontano il tempo, il consumo, l’identità collettiva.

- Intervento materico: Il cemento e la rete da costruzione non sono solo texture, ma metafore della città che costruisce e distrugge, che ingloba e stratifica.

Mario Iannino e la poetica del frammento

Il lavoro di Iannino si inserisce in una tradizione che va da Burri a Rotella, ma con uno sguardo contemporaneo e critico. La città non è solo sfondo: è protagonista, è testo da decifrare, è corpo da sezionare.

Questa opera è un dispositivo critico che invita lo spettatore a interrogarsi su ciò che vede ogni giorno ma non osserva: i linguaggi che ci circondano, ci influenzano, ci definiscono. È una cartografia emotiva e semiotica della metropoli, dove l’arte diventa strumento di indagine e resistenza.

L’ossimoro della contemporaneità nella ricerca semantica e che si evidenzia in questa opera di Mario Iannino si configura come un grido silenzioso, un collage che non cerca di spiegare, ma di mettere in crisi. La fotografia di un bambino in un contesto di guerra — che sia Gaza, Ucraina o altrove — non ha bisogno di coordinate geografiche: è simbolo universale dell’innocenza violata. Accanto a questo frammento, si stagliano immagini di opulenza, consumo, intrattenimento. Il contrasto è brutale, e proprio per questo necessario.

L’assurdo come linguaggio

- L’opera costruisce un ossimoro visivo: da un lato il packaging patinato di prodotti globali, dall’altro la crudezza di una realtà sotto assedio.

- Questo cortocircuito genera disorientamento, ma anche consapevolezza: ci costringe a vedere ciò che normalmente ignoriamo.

- L’assurdità non è decorativa, è strutturale: è il linguaggio stesso della contemporaneità, dove il benessere coesiste con la tragedia, spesso nello stesso scroll di uno smartphone.

Materiali come metafora di una ir/realtà subita, forse accettata, che si è insinuata lentamente tra i cagli della nostra memoria destrutturata.

- Il cemento e la rete da costruzione non sono solo texture: sono barriere, rovine, confini.

- Il cartone Amazon diventa simbolo della distribuzione globale, che arriva ovunque tranne dove serve davvero.

- La fotografia dei bambini è incastonata, quasi soffocata, come se la memoria fosse sepolta sotto strati di pubblicità.

Mario Iannino ci propone un’opera che non vuole piacere, ma disturbare. È una riflessione visiva sulla disuguaglianza sistemica, sull’invisibilità del dolore e sull’estetica dell’indifferenza. In un mondo dove tutto è accessibile, alcuni restano inaccessibili. E l’arte, qui, diventa atto politico privo di bandiere ma fermo nell’essere un atto civico su cui riflettere.

 Mario Iannino ci propone un’opera che non vuole piacere, ma disturbare. Ribadisco. 

Non cerca consenso, ma coscienza. È una riflessione visiva sulla disuguaglianza sistemica, sull’invisibilità del dolore, sull’estetica dell’indifferenza che permea il nostro tempo. In un mondo iperconnesso, dove tutto è a portata di click, alcuni restano inaccessibili, esclusi, silenziati.

La fotografia di un bambino in un territorio martoriato dalla guerra — Gaza, Ucraina, o qualsiasi altra geografia del conflitto — non è un documento, ma un simbolo universale. Accanto a lui, frammenti di pubblicità, marchi globali, slogan consumistici: l’opulenza che si sovrappone alla tragedia, senza mai toccarla davvero.

L’opera diventa così un ossimoro contemporaneo: un cortocircuito tra ciò che vediamo e ciò che scegliamo di ignorare. Il cemento, la rete, il cartone da imballaggio non sono semplici materiali: sono metafore di barriere, di confini, di una realtà stratificata dove il dolore è spesso nascosto sotto strati di distrazione.

L’arte, qui, è atto politico. Ma non ideologico. È priva di bandiere, e proprio per questo più potente. È un atto civico, un invito alla riflessione, alla responsabilità, alla presa di coscienza. Non ci chiede di capire, ma di sentire. Non ci offre risposte, ma ci costringe a porci domande.

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