Lo sguardo obliquo del tempo

Assemblaggio polmaterico, 2012





Questo lavoro nasce nel 2012, in un momento in cui ho voluto inclinare lo sguardo, a rifiutare la frontalità dell’immagine e la retorica dell’opera finita. 

Lo sguardo obliquo del tempo non è una metafora: è la postura che ho scelto per attraversare la memoria, per non lasciarla diventare decorazione. L’obliquità è il mio modo di stare nel tempo, di non fingere neutralità.


Ho usato materiali già vissuti, già scartati. Tessuto, rete, pigmento, carta strappata: ogni elemento porta una storia, una ferita. I due pennelli fissati ai margini non servono a dipingere, ma a ricordare il lavoro. Sono reliquie, non strumenti. Il foglio con il bordo a spirale visibile è un frammento di processo, non di prodotto. È il laboratorio congelato, la pausa nel gesto.


Questo assemblaggio dialoga con gli altri. In tutti i lavori, il colore non costruisce immagine, ma tensione. Blu, nero, bianco, rosso: non sono scelte estetiche, ma stratificazioni etiche.

Nel mio studio, tra libri, strumenti, oggetti d’uso, i lavori nascono e sono gesti di resistenza. Non sono prodotti per il mercato, ma per la memoria. La mia ricerca è figlia di una pedagogia del frammento, di una pratica che dignifica il fallimento e la crisi. Il 2012 è una soglia: da lì ho cominciato a parlare in modo più radicale, più discorsivo, più asciutto.


In una mostra, non voglio che venga incorniciato. Deve stare fuori asse, lontano dal centro. Voglio che respiri, che dialoghi con altri gesti incompiuti. Che sia accompagnato da una nota scritta a mano, da un oggetto d’uso, da una traccia sonora. L'opera Non chiede attenzione, ma ascolto. Non vuole essere capita, ma processata dalla mente e attraversata dalla sensibilità.


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