Lettere dalla Calabria

Lettere dalla Calabria.


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"Notizie cucite addosso come una seconda pelle, la storia, le tradizioni e la cultura respirata con l'aria odorosa di vento marino e montano, il salmastro che incontra l'ossigeno dei castagni e delle querce, i pini e gli abeti, lascia pezzi di cuori intrappolati tra le spine dei fichidindia. Le palette verdi non sono cresciute per giocare, sono ricordi radicati nelle asperità del territorio…"

 Lettere dalla Calabria

Notizie cucite addosso come una seconda pelle, la storia respira tra i vicoli stretti, tra le mani callose che impastano pane e memoria.

Il vento marino abbraccia quello montano, salmastro e ossigeno si intrecciano come voci antiche, tra castagni e querce, tra pini e abeti che custodiscono silenzi millenari.

I fichi d’india trattengono pezzi di cuore tra le loro spine, palette verdi radicate non per gioco, ma per ricordare che la terra è madre e la memoria è figlia.

La Calabria è canto, è dolore e bellezza, è radice che non si spezza, è poesia che si fa cultura, è identità che resiste tra mare e montagna, tra partenze e ritorni, tra il tempo che passa e il tempo che resta.

La terra si veste di cicatrici, ogni pietra è un osso antico che affiora dal ventre del tempo.

Il mare non bagna: divora, spinge il respiro salato fino alle radici dei castagni, dove l’ossigeno si fa memoria e la linfa diventa canto.

Le querce parlano con lingue segrete, i pini s’innalzano come colonne di un tempio invisibile, gli abeti custodiscono il gelo delle stagioni che non muoiono mai.

Tra le spine dei fichi d’india restano intrappolati i cuori, pezzi di sangue e nostalgia, palme verdi che non conoscono gioco ma soltanto la gravità della radice.

La Calabria è un altare di vento, una ferita che canta, un abisso che genera luce. Qui la cultura non si legge: si respira, si mastica, si porta addosso come una pelle che non si può togliere.

E chi parte, porta con sé la voce delle zampogne, il sapore del pane bruciato, l’eco delle processioni che attraversano i secoli.

La Calabria non è luogo, è destino inciso nella carne, è poesia che arde, è tradizione che resiste come fiamma che non si spegne.

 Calabria, metafora del mondo.

La Calabria è ventre primordiale, un respiro che unisce mare e montagna, abisso e vertigine, luce e ombra.

Ogni pietra è un pianeta, ogni albero una costellazione, ogni spina di fico d’india una stella che trattiene il dolore e lo trasforma in memoria.

Il vento che scende dai monti non è soltanto aria: è voce dell’universo, è eco di civiltà che non muoiono, è canto che attraversa i secoli e si fa radice di tutti i popoli.

Il mare non è confine ma specchio dell’infinito, dove le partenze diventano miti e i ritorni si fanno eternità.

 

La Calabria è metafora della vita: ferita che sanguina e guarisce, radice che resiste e si piega, fiamma che arde senza consumarsi.

Chi la attraversa porta con sé il suo destino, perché questa terra non è luogo ma simbolo universale: la memoria che diventa pelle, la cultura che è anima, la poesia che diventa mondo.

 Calabria, destino dell’umanità.

La Calabria è ventre del mondo, una ferita che genera luce, un altare di vento dove la storia si piega e si rialza come fiamma.

Ogni pietra è memoria dell’origine, ogni albero è profezia, ogni onda è annuncio di ciò che siamo stati e di ciò che saremo.

Il mare non conosce confini: è il respiro dell’universo, specchio dell’eterno ritorno, dove le partenze diventano mito e i ritorni si fanno destino.

Le montagne custodiscono il silenzio delle civiltà scomparse, ma il loro eco vibra ancora nelle vene dell’umanità intera.

La Calabria è metafora del futuro: radice che resiste, cultura che non muore, poesia che si fa carne.

E l’umanità, come i fichi d’india tra le spine, porta nel cuore la nostalgia di una terra che non è solo luogo ma simbolo universale: la prova che la vita è dolore e bellezza, caduta e rinascita, ombra e luce.

“Lettere dalla Calabria” di Mario Iannino è un’opera di assemblaggio pop che intreccia memoria, consumo e identità visiva, evocando la stratificazione culturale della regione attraverso materiali quotidiani e simboli iconici.

Scheda critica dell’opera:

- Titolo: Lettere dalla Calabria

- Autore: Mario Iannino 

- Tecnica: Assemblaggio polimaterico su cartone 

- Dimensioni: 59 × 39 cm 

- Anno: 2025

- Contesto: Mostra “Linguaggi mutevoli”, Galleria ArteSpazio, Catanzaro.

 Analisi curatoriale.

L’opera si presenta come una composizione stratificata, dove elementi di packaging commerciale (Amazon, e pasta casereccia della tradizione calabrese) si fondono con immagini evocative della tradizione italiana: vigneti, statue classiche, titoli come *Le tradizioni*, *La storia*, *L’arte*. Il tutto è montato su un supporto di cartone, con tracce visibili di nastro e colla che accentuano il carattere artigianale e diretto dell’intervento.

 Il titolo “Lettere dalla Calabria” suggerisce una narrazione epistolare, un messaggio visivo che arriva dalla terra d’origine dell’artista, filtrato attraverso il linguaggio della cultura pop e del consumo. Le “lettere” non sono solo parole ma frammenti visivi, oggetti, memorie.

Temi e significati.

- Cultura e consumo: L’uso dei marchi noti riflette la tensione tra tradizione e globalizzazione, tra radici locali e flussi commerciali.

- Memoria visiva: Le immagini selezionate evocano un’Italia archetipica, rurale e artistica, che viene “spedita” e reinterpretata.

- Tecnica dell’assemblaggio: Iannino si inserisce nella tradizione dell’arte povera e dell’assemblage, dove il materiale quotidiano diventa veicolo di significato.

 Collocazione critica:

L’opera si colloca nel solco della “poesia visiva” e della “ricerca semantica” che caratterizza il lavoro di Iannino da oltre mezzo secolo. Il suo approccio è di un artista che riflette sulla comunicazione, sulla sensibilità, e sulla capacità dell’arte di sublimare l’esperienza.

Potrebbe essere esposta accanto a lavori di Mimmo Rotella, Michelangelo Pistoletto, o Giuseppe Chiari, in una mostra dedicata alla memoria visiva del Sud Italia.

 Conclusione.

“Lettere dalla Calabria” è un’opera che parla con frammenti, che scrive con immagini. È una riflessione sulla Calabria come luogo di stratificazione culturale, dove il passato convive con il presente, e dove l’arte diventa un gesto di cura, di comunicazione, di resistenza.

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