Saggio

Dal ready-made al remix visivo: continuità e rottura.

L’opera si colloca in un territorio di confine tra la tradizione delle avanguardie storiche e le pratiche artistiche contemporanee. L’uso del cartone come supporto richiama la poetica del ready-made duchampiano, dove l’oggetto quotidiano viene sottratto alla sua funzione e reinserito in un contesto estetico. Allo stesso tempo, la stratificazione di frammenti e segni rimanda al collage cubista e alle sperimentazioni dadaiste, che per primi hanno introdotto materiali estranei alla pittura tradizionale.

 


La presenza di brand, slogan e frammenti di packaging dialoga con la Pop Art di Warhol e Rauschenberg, ma ne aggiorna il linguaggio: non più l’icona patinata del consumo di massa, bensì il rifiuto urbano, il resto, il frammento. In questo senso, l’opera si avvicina alle pratiche di arte povera, dove il materiale di scarto diventa veicolo di riflessione sulla società e sulla precarietà.

Il linguaggio contemporaneo emerge nella dimensione caotica e stratificata della composizione, che riflette l’esperienza visiva del presente: un flusso continuo di immagini, testi e stimoli che si sovrappongono senza gerarchie. La scritta “What else? some alts?” introduce un tono ironico e critico, tipico della comunicazione digitale, dove il linguaggio frammentato e colloquiale si mescola con il bombardamento pubblicitario.

In definitiva, l’opera si pone come ponte tra storia e contemporaneità: eredita le strategie di rottura delle avanguardie, le rielabora attraverso il filtro della cultura visiva odierna e restituisce un’immagine del mondo come archivio instabile di segni e materiali, dove l’arte diventa strumento di interrogazione critica.

La produzione di Mario Iannino si inserisce in una linea di indagine che esplora i segni, i codici e le stratificazioni visive della città contemporanea. L’opera su cartone diventa un frammento di paesaggio urbano, un reperto che porta con sé scritte, loghi, slogan e tracce di consumo quotidiano. 

Il linguaggio metropolitano, fatto di pubblicità, brand, graffiti e comunicazione digitale, è qui montato e ricomposto: il cartone, materiale povero e transitorio, diventa superficie di sperimentazione, mentre i frammenti di packaging e le scritte manuali si intrecciano in un dialogo tra voce individuale e rumore collettivo. 

La scelta di materiali di recupero richiama la tradizione dell’arte povera, ma la loro disposizione caotica e stratificata riflette la condizione visiva del presente: un flusso continuo di immagini e testi che si sovrappongono senza ordine. In questo senso, Iannino si muove tra memoria delle avanguardie (collage cubista, ready-made duchampiano, Pop Art) e linguaggio contemporaneo, dove la città è percepita come archivio instabile di segni. 

La scritta “What else? some alts?” diventa emblematica: un interrogativo ironico che rimanda alla ricerca di alternative in un mondo saturo di stimoli. È la voce dell’artista che si inserisce nel tessuto metropolitano, non per dare risposte, ma per aprire spazi di riflessione critica. 

La ricerca di Mario Iannino sui linguaggi metropolitani si colloca in una traiettoria che attraversa l’intera storia dell’arte del Novecento, appropriandosi di tecniche e materiali che hanno segnato le avanguardie e rielaborandoli in chiave contemporanea.  

Nella dimensione attuale, l’opera riflette la condizione visiva della metropoli: un flusso incessante di immagini, testi e segni che si sovrappongono senza gerarchie. La scritta “What else? some alts?” diventa un frammento di linguaggio digitale e pubblicitario, ironico e ambiguo, che interroga lo spettatore sulla ricerca di alternative in un mondo saturo di stimoli. 

La composizione caotica e stratificata non è semplice disordine, ma metafora della complessità urbana: un archivio instabile di segni, dove il gesto pittorico convive con il linguaggio commerciale, e la voce dell’artista si inserisce come elemento critico. 

La ricerca di Iannino si pone dunque come ponte tra memoria e presente: eredita le strategie di rottura delle avanguardie storiche, le rielabora attraverso il filtro della cultura visiva contemporanea e restituisce un’immagine della città come spazio di conflitto simbolico. In questo senso, la sua opera non è soltanto estetica, ma anche antropologica, perché indaga i modi in cui la società produce e consuma segni, e come l’arte possa trasformarli in strumenti di riflessione critica.

La ricerca artistica di Mario Iannino sui linguaggi metropolitani si colloca in una linea di continuità con le avanguardie storiche del XX secolo e con le pratiche postmoderne e contemporanee. Attraverso l’uso di materiali poveri e residuali, come il cartone e frammenti di packaging, l’artista costruisce palinsesti urbani che riflettono la complessità semiotica della città contemporanea. Questo saggio analizza la genealogia storica della sua pratica, mettendola in relazione con Cubismo, Dadaismo, Ready-made, Pop Art e Arte Povera, e ne evidenzia il valore antropologico e semiotico alla luce delle teorie di Benjamin, Barthes, Eco e Baudrillard.

La città contemporanea è un archivio instabile di segni, un flusso incessante di immagini e testi che si sovrappongono senza gerarchie. In questo contesto, la ricerca di Mario Iannino si configura come un’indagine critica sui linguaggi metropolitani, attraverso opere che utilizzano materiali di recupero e frammenti visivi della cultura urbana. L’opera su cartone diventa così un dispositivo semiotico che interroga la natura stessa della comunicazione visiva.

L’uso del collage e dell’assemblaggio di materiali eterogenei richiama le sperimentazioni cubiste di Picasso e Braque, ma soprattutto le pratiche dadaiste di Kurt Schwitters. Come osserva Walter Benjamin, “ogni frammento reca con sé la traccia della totalità da cui è stato strappato.”¹ In Iannino, il frammento non è residuo estetico, bensì segno di un sistema comunicativo ipertrofico.

Il cartone, materiale povero e transitorio, diventa supporto artistico, proseguendo la linea inaugurata da Marcel Duchamp nel 1917. La sua funzione originaria viene sospesa e trasformata in superficie critica, ridefinendo il confine tra arte e quotidiano.

La presenza di brand e loghi rimanda alla riflessione sulla società dei consumi di Andy Warhol e Robert Rauschenberg. Tuttavia, Iannino ne rovescia la prospettiva: non celebra l’icona patinata, bensì ne mostra il lato residuale, il rifiuto, il frammento. In questo senso, la sua pratica si avvicina alla critica postmoderna del simulacro, come teorizzata da Jean Baudrillard.²

L’impiego di materiali di recupero e la tensione critica verso la società industriale avvicinano la sua pratica alle esperienze italiane degli anni ’60 e ’70, da Jannis Kounellis a Michelangelo Pistoletto, con cui condivide l’attenzione alla precarietà e alla dimensione effimera.³

La scritta “What else? some alts?” diventa emblematica: un frammento di linguaggio pubblicitario e digitale che interroga lo spettatore sulla ricerca di alternative in un mondo saturo di stimoli. 

 In questo senso, Iannino si avvicina alle pratiche di street art e ai linguaggi visivi di Jean-Michel Basquiat e Keith Haring, che hanno tradotto la vitalità e la frammentarietà della città in segni pittorici e grafici. La sua opera dialoga anche con le riflessioni teoriche di Roland Barthes, che in “Mitologie” analizza la costruzione ideologica dei segni quotidiani,⁴ e con Umberto Eco, che in “*Apocalittici e integrati” esplora la dialettica tra cultura di massa e cultura critica.⁵

La ricerca di Iannino assume un valore antropologico e semiotico: indaga i modi in cui la società produce e consuma segni, e come l’arte possa trasformarli in strumenti di riflessione critica. In questo senso, la sua opera dialoga con:

- Benjamin, sulla perdita dell’aura nell’epoca della riproducibilità tecnica.¹ 

- Baudrillard, sull’iperrealtà e la proliferazione di segni autoreferenziali.² 

- Eco, sulla tensione tra cultura popolare e cultura alta.⁵ 

Il cartone, fragile e transitorio, diventa metafora della condizione contemporanea: instabile, stratificata, esposta. L’opera non è soltanto estetica, ma anche dispositivo critico, che invita lo spettatore a leggere il caos urbano come testo, come stratificazione di codici, come campo di tensione simbolica.

La ricerca di Mario Iannino sui linguaggi metropolitani si pone come ponte tra memoria e presente, tra avanguardia e postmodernità, tra linguaggio artistico e linguaggio urbano. In questo senso, la sua opera non è soltanto un atto estetico, ma una vera e propria indagine semiotica, che restituisce la città come spazio di conflitto simbolico e come archivio instabile di segni.

 Note

1. Walter Benjamin, *Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit* (Frankfurt: Suhrkamp, 1936), 27. 

2. Jean Baudrillard, *Simulacres et Simulation* (Paris: Galilée, 1981). 

3. Germano Celant, *Arte Povera* (Milano: Mazzotta, 1967). 

4. Roland Barthes, *Mythologies* (Paris: Seuil, 1957). 

5. Umberto Eco, *Apocalittici e integrati* (Milano: Bompiani, 1964). 

 Bibliografia

- Barthes, Roland. *Mythologies*. Paris: Seuil, 1957. 

- Baudrillard, Jean. *Simulacres et Simulation*. Paris: Galilée, 1981. 

- Benjamin, Walter. *Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit*. Frankfurt: Suhrkamp, 1936. 

- Celant, Germano. *Arte Povera*. Milano: Mazzotta, 1967. 

- Eco, Umberto. *Apocalittici e integrati*. Milano: Bompiani, 1964. 

 

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