La libertà inutile: elogio del gesto

La libertà inutile: elogio del gesto che non serve.

 In un’epoca che pretende scopi e risultati, difendere il diritto all’inutile significa difendere l’essere umano nella sua forma più radicale.

Viviamo in un tempo che misura tutto: il lavoro, il tempo libero, persino le passioni. Ogni gesto deve produrre qualcosa, ogni attività deve giustificarsi, ogni minuto deve essere ottimizzato. In questo scenario, ciò che non serve diventa sospetto, quasi un lusso colpevole. Eppure, proprio oggi, sento il bisogno di difendere l’inutile. Difendere quel gesto gratuito che non risponde a nessuna logica economica, sociale o morale, ma che continua a emergere come un moto spontaneo dell’essere umano.

Perché io, come molti altri, continuo a fare cose che non hanno un nome preciso. Scrivo senza un pubblico, penso senza un obiettivo, immagino soluzioni a problemi che nessuno mi ha affidato. Non lo faccio per dovere, né per ambizione. Lo faccio perché, nel cuore dell’assurdo, questo gesto diventa un modo di respirare.

L’assurdo non è un concetto astratto: è la condizione quotidiana in cui ci muoviamo. È il divario tra il nostro bisogno di significato e l’indifferenza del mondo. È la domanda che non riceve risposta, il perché che resta sospeso. E allora, di fronte a questo vuoto, abbiamo due possibilità: arrenderci o creare. Io scelgo di creare. Scelgo di giocare.

Il gioco, inteso così, non è evasione. È resistenza. È un atto di libertà che non chiede permesso. È la dichiarazione che, anche se nulla ha un senso prestabilito, io posso comunque generare un frammento di senso. Non definitivo, non universale, ma mio.  In un mondo che vuole utilità, l’inutile diventa un territorio di libertà. E allora sì, rivendico il diritto di giocare.  Di pensare senza scopo.  Di creare senza profitto.  Di immaginare senza mandato. 

Perché è in questi gesti che l’essere umano si sottrae alla logica della funzione e torna a essere possibilità pura. È qui che la libertà smette di essere un concetto e diventa un’esperienza. È qui che, per un attimo, l’assurdo non scompare, ma si lascia attraversare.

E forse è proprio questo il compito più urgente oggi: ricordare che non siamo solo ciò che produciamo, ma anche ciò che facciamo quando nessuno ci guarda. Difendere l’inutile significa difendere la nostra capacità di esistere oltre la necessità.  E io, nel mio piccolo, continuo a farlo.  Continuo a giocare.  Perché nel gioco, l’assurdo non vince.  E la libertà, anche se per un istante, respira. 

Il mio fare è gesto inutile che fonda, nel gioco con la materia, il modo di abitare il mondo: non come figura esemplare, ma come uomo qualunque che rifiuta ogni etichetta in risposta alla contemporaneità che pretende scopi, risultati, funzioni. In cui ogni gesto deve essere misurabile, ogni attività deve giustificarsi, ogni forma deve trovare un posto in una categoria. In questo scenario, ciò che non serve diventa sospetto, quasi un errore di sistema. Eppure, è proprio nell’inutile che io trovo la mia libertà.

Per anni ho cercato di capire perché continuassi a fare ciò che faccio: assemblare, manipolare, giocare con la materia e il colore senza un progetto definito, senza un obiettivo, senza un pubblico da soddisfare. Non era lavoro, non era hobby, non era vocazione. Era qualcosa di più semplice e più radicale: un modo di respirare. Vivere!

Ho compreso, finalmente, che il mio fare “arte” non è un ruolo, non è un mestiere, non è un’identità da esibire. È il mio modo di essere al mondo. Non come un novello messia, non come qualcuno che porta un messaggio, ma come un uomo qualunque. Un uomo non catalogato né catalogabile, che trova nella ri/creazione un equilibrio, un orientamento, una forma di presenza.

L’assurdo — quella frattura tra il nostro bisogno di significato e l’indifferenza del mondo — non mi paralizza. Al contrario, mi spinge a muovermi. A creare. A giocare. Il gioco, inteso così, non è evasione: è resistenza. È un atto di libertà che non chiede permesso. È la dichiarazione che, anche se nulla ha un senso prestabilito, io posso comunque generare un frammento di senso. Non definitivo, non universale, ma mio.

In un mondo che pretende utilità, il gesto gratuito diventa rivoluzionario.  In un mondo che chiede efficienza, la lentezza del fare diventa un atto politico alto.  In un mondo che vuole definizioni, l’indefinito diventa un territorio di verità.

Le mie opere nascono così: non per comunicare, non per convincere, non per rappresentare. Nascono perché, nel momento in cui la materia prende forma tra le mani e assume valenze differenti, l’esistenza smette di essere un peso e diventa un gesto. Un gesto che non serve a nulla e proprio per questo mi fonda. Difendere l’inutile significa difendere la possibilità di esistere oltre la necessità. 

E io, nel mio piccolo, continuo a farlo.  Continuo a giocare perché nel gioco, l’assurdo non vince ma si palesa. E la libertà, anche se per un istante, respira.

 

 

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