Quasi un Manifesto per una creatività dematerializzata
Digitalizzare un concetto e renderlo visivamente fruibile donandogli corpo e dimensione virtuali equivale a de-materializzare la struttura fisica dell'opera d'arte tradizionale.
In antitesi al gesto plastico-pittorico, il fare arte digitale significa nel lessico corrente, comunque creare qualcosa di inesistente, nuovo, per lo più dare senso e volume ai manufatti corposi “ingombranti” sulle piattaforme informali de-strutturandone i supporti fisici. Inscenare la grande bugia visionaria in pixel.
Esternare e rendere visibili mondi personali anche in pochi centimetri di spazio con le nuove tecnologie che abbiamo a disposizione è una possibilità d'espressione da considerare.
Conferire realtà tematiche inodore ai pensieri socializzanti attraverso il lessico che accomuna giovani e adulti non necessariamente smanettoni è uno strumento in più usato magistralmente nella cinematografia d'autore. Gli effetti virtuali superano gli ostacoli fisici connessi alla mortalità e vi si innescano affiancando il filo narrativo della finzione. Impalpabili mondi pregnanti di allegoriche figure dialogano con lo spettatore. Si offrono al pari di un bel dipinto eseguito coi dovuti canoni costruttivi cari agli accademici o un'opera d'arte contemporanea che sembra disattenderli forte di quella anarchica scintilla creativa che ebbe inizio in Francia en plein air a metà dell'800.
Le opere d'arte materiche occupano spazi fisici; Invadono case, piazze e musei, ingombrano coi loro volumi imprescindibili persino gli ambienti di lavoro dei creativi fino a renderli inagibili. … capannoni, case, spazi chiusi o all'aperto si saturano a seguito del lavoro creativo che, come un fiume in piena, non si arresta mai, anzi, si gonfia e tracima oltre i margini fisici inizialmente auto-imposti.
L'arte inquina?
“Fare arte” creare è una condizione dell'anima! E chi è contaminato dal sacro tarlo della creazione capisce cosa intendo. La creatività è energia. Forza propulsiva che imprime moto. Azione!
Impossibile stare fermi quando si ha dentro tale energia. Non si può abdicare. Smettere. Dire basta! È impossibile. Lavorare è un imperativo assoluto più forte di qualsiasi altra determinazione. Si può smettere di fumare, recidere qualsiasi altro “vizio” andare controcorrente ma non contro natura, staccarsi da ciò è impensabile!
Intanto i lavori si accumulano. Fanno lievitare la montagna rosicchiando spazi logistici d'azione vitali fino a inibire persino l'accesso nella stanza da lavoro.
Che fare? Gli spazi fisici, come già detto, sono occupati dalla se pur poetica quanto ingombrante ricerca polimaterica imperniata sui linguaggi metropolitani e le derivanti scorie.
Uno, due, tre giorni di fermo totale imposto dalle circostanze è d'obbligo. La mente però lavora! Il corpo, gli arti, le mani non possono seguire i voli pindarici. I progetti rimangono sospesi, accatastati al pari delle opere nello studio danno la sensazione di cadere dagli scaffali e rovinare a terra da un momento all'altro.
Sento la mancanza della fucina, l'odore della pittura e prima ancora la corposità materica degli elementi che compongono la plasticità dei lavori; gli assemblaggi cuciti, maltrattati, lacerati e rinsaldati.
La necessità di esternare concetti e pensieri inespressi mi opprime.
Focalizzare creazioni oniriche. Sviluppare dialoghi. Proporre intimità. Narrare non più attraverso la materia ingombrante ma con altro medium che consente di de-materializzare il lavoro. Sospendere l'artigianalità del lavoro e riproporlo in forma digitale. E stamparlo.
Rispolvero il programma di digitalizzazione fotografico e ricomincio a giocare con le immagini, il colore, il gesto, la grafia per non morire d'inedia.
Le immagini digitali, strutturate e veicolate secondo i canoni linguistici creativi assumono corpo nei pixel dello schermo e consentono di proseguire il percorso intrapreso tantissimi anni addietro.
Il distacco momentaneo dalla materia e dal colore pesa ma il ritrovato impegno narrante, de-materializzato ravviva la dialettica creativa e la ricerca semantica assume nuove vesti formali.
La nuova narrazione digitale de-materializza l'opera e dà la possibilità di divulgarla capillarmente; consente di offrire il prodotto dell'ingegno privo di copyright in ossequio alla pluralità del web a chiunque voglia interagire. Rendere fruibile la nuova narrazione non per scopi commerciali o di lucro ma per mero interscambio semantico mirato alla crescita culturale collegiale intellettualmente pura, avulsa dalle rincorse edoniste dissacranti contaminate dai rimandi a effimeri feticci pubblicitari ammiccanti che, a seconda dei casi, sussurrano o urlano artificiosi mondi plasmati dalla blasfemia imperante degli interessi privati.