Antropologia della visione

Trasformare l'argilla e la materia, creare forme plastiche, fare lievitare e evolvere la superficie piatta, qualunque essa sia, porta la mente in uno stato esistenziale indescrivibile.
La mia ricerca linguistica, per vari motivi, si è sviluppata in poetiche polimateriche lontane dalla materia primordiale: l'argilla.
Ho trattato cellulosa grezza, carta, plastica, garza, mastice, silicone e creato atmosfere, aperto cretti, innalzato protuberanze. Ho evidenziato o occultato, a seconda dei temi trattati, dati visibili che avrebbero distratto lo spettatore e portato la poetica su strade contigue alla decorazione.

Non mi piace indugiare, decorare, lisciare la superficie. Voglio proporre strade nuove, se possibile. Dare un senso all'arte. Inglobare pensieri grafici in segni materici e viceversa. Eliminare l'eccesso. Abolire la descrizione melensa e ruffiana.
Portare l'interlocutore su piani astrali dimenticati o adombrati dalla realtà massiva e dalle brutte copie figurali.

Da qualche tempo sono ritornato ai primordi della manipolazione. A quando impastavo la pasta molle del das o raccoglievo la creta in campagna per creare personaggi fantastici che accompagnassero le mie avventure e maschere per esorcizzare le paure ataviche presenti nell'antropologia della visione creativa.



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