MESTIERE O PASSIONE?

Scrivere è, per certi aspetti, un'azione catartica.

Chi scrive per proprio diletto  e non per rincorrere podi e vetrine gratificanti ma cerca, appunto, nelle profondità delle intenzioni che governano il comune sentire per portare in superficie gli aspetti reconditi delle strategie che si vorrebbero insabbiare per pudore o altro, è un esemplare raro nell'era dei "mi piace".

Alcuni scrivono per diletto. Altri per mestiere. Altri ancora usano la scrittura come una sorta di terapia per raggiungere piani astrali incontaminati. Questi ultimi sono artisti che riescono a proiettare la propria sensibilità, il proprio sentire nell'ipercosmo personale totalizzante e lo traslano nell'altrui cosmo poeticamente. Sono Entità che inventano mondi e tracciano relazioni composite, lanciano sfide che, attraverso probabilità e incongruenze, indicano commistioni possibili: ir-realtà benefiche che trovano fondamenta nell'impossibilità esperienziale del non esistente, verve che diviene, parola dopo parola, vivida realtà man mano che la penna scorre e il testo mostra agli occhi le imperfezioni del reale, dell'ovvio conosciuto. L'inchiostro è sangue. Lacrime. Tensioni. Il segno è poesia. Energia vitale.

E poi ci sono i giornalisti.

Certi mettono la loro penna a disposizione di chi paga di più. Altri si accontentano di un tanto al rigo. Quel tanto che basta per vivere o sopravvivere.

Scrivere, in sintesi, è lasciarsi andare a narrazioni. Inventare!

Ogni narrazione ha in sé una fonte di verità.




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