Un po' di me
Bologna. Ci sono stato per la prima
volta nel 1985 in occasione di una esposizione personale organizzata
da Romeo Forni.
Ricordo di avere caricato la mia 127
coi lavori da esporre e partii entusiasta alla volta della città
romagnola. Avevo 32 anni e l'adrenalina giusta per affrontare le
distanze nottetempo.
Pernottai all'hotel Cacciatori, ma la
mattina seguente Romeo mi porse le chiavi di casa sua dicendomi: ti
chiedo solo un favore: quando scendi in Calabria portami la
bicicletta.
Il pomeriggio di sabato 30 marzo, alle
ore 17, ebbe luogo la vernice. La mostra durò fino al 12 aprile.
Stesso periodo della rassegna “arte fiera” di Bologna.
Ho sempre nutrito qualche remora nei
confronti delle fiere d'arte. Mi dà la sensazione del mercato delle
vacche. È più che altro un grande giro di affari, o per lo meno si
spera che lo sia. Lo sperano i galleristi che prenotano e pagano gli
stands, se lo augurano gli artisti invitati che contribuiscono alle
spese. E giocano d'azzardo gli scaltri avventurieri che propongono
visioni shock o semplicemente di pessimo gusto creativo, estetico e
quindi artistico che non hanno niente a che vedere con le stimolanti
provocazioni culturali delle quali la storia dell'arte è piena.
Parlare d'arte, in certi contesti, è
una mera esercitazione linguistica al sevizio degli affari. E magari
ci va di mezzo qualche appassionato gallerista e i valenti artisti
che si porta dietro. Ma si sa, sugli errori si cresce. Ed io, forte
dell'esperienza accumulata, ho capito che dietro qualsiasi
operazione, anche quelle definite pomposamente “culturali” spesso
c'è dell'altro.
Qualcuno penserà che il mio pessimismo
dipenda dagli incontri sbagliati o non in linea con le mie
aspettative. Può darsi. Non voglio escluderlo. Ma oggi, dall'alto
della mia veneranda età e nel pieno della mia attività
ludico-creativa posso solo augurare che la sensibilità creativa sia con noi, e... buona arte